Cucina

Musica e aperitivo, binomio perfetto!

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Pubblicato il 07/07/2015
Di Team Digital
Musica e aperitivo binomio perfetto

... Dalle origini ad oggi

Oggi più che mai: in Italia – a iniziare da Milano, ma non solo – è una moda dilagante, con numerose varianti locali, si pensi allo spritz veneto. Il piacere dell’aperitivo ha però origini antiche, spiega Antonio Marteddu, bartender top quality, papà sardo ma astigiano di nascita, classe 1978, figlio d’arte con l’alcol nel sangue (in senso lato), che all’aperitivo dedica tanti sforzi a Castagnole Lanze (Asti), nel suo cocktail bar Cocktail and Dreams. E’ anche docente di Sala e Bar alla scuola alberghiera di Agliano-Asti. «L’aperitivo nasce con Ippocrate, nell’Antica Grecia», ha spiegato nei giorni scorsi a Identità Expo ripercorrendo la storia millenaria e affascinante. «I romani bevevano il Mulsum: 3/4 di vino bianco greco, una sorta di antenato del moscato, aromatizzato con miele e dei semi di finocchio. Ma tiravano giù anche parecchio Mirtillum, un drink a base di bacche e foglie di mirto». L’alcol aveva un uso prevalentemente medicamentoso e questo sarà l’andazzo fino alla fine del diciottesimo secolo, «esattamente nell’anno 1796, quando Antonio Benedetto Carpano, nella sua bottega di vini e liquori di Torino, cominciò a servire del vino aromatizzato con della china». È il noto Punt e Mes.


Altre tappe miliari successive: «1815, quando Ramazzotti a Milano inaugura l’era del primo aperitivo a base di alcol ma non vinoso, con l’infusione di 33 erbe, un prodotto che sta tornando in produzione. Nel 1842 viene fondata invece la Distilleria nazionale di spirito di vino all’uso di Francia – i francesi furono i primi a produrre distillati di vino come il cognac. Nel 1862 i soci Alessandro Martini, Luigi Rossi e Teofilo Sola fondano la Martini & Rossi, lanciando di fatto l’era dell’aperitivo a base di Moscato di Canelli, melissa, fina, noce moscata, cannella, zucchero e altre spezie. Nello stesso anno, Gaspare Campari propone il bitter, infusione idroalcolica di erbe, spezie e radici, bitter “all’uso di Olanda”».


E così arriviamo alla genesi dei cocktail che spopolano anche oggi: Americano, Negroni e Mi-To, strettamente imparentati tra loro per gli ingredienti che li compongono. «Il primo in ordine di tempo, parliamo di fine Ottocento, è l’Americano», chiude la ricapitolazione, «sulle cui origini però esistono diverse versioni: per qualcuno deve il nome alla miscela dei due prodotti italiani per eccellenza, vermouth e bitter; per altri deve l’appellativo a Primo Carnera, il grande pugile italo-americano che conquistò il Madison Square Garden».


La variante Negroni spariglia le carte negli anni venti del Novecento: «Nacque nello storico Bar Casoni di Firenze, a opera del grande Fosco Scarselli. Si chiamava “L’americano alla moda del conte Negroni”, dal nome del suo più assiduo estimatore, un nome poi accorciato. La spruzzata di soda rimpiazzava il colpo del cucchiaio, due modi diversi per amalgamare bene il prodotto». Il primo Negroni in realtà nasce con la soda, «ma poi la perde».


Il sipario è tutto del Mi-To (o al To-Mi, a seconda del campanile): «Nasce nei primi anni Trenta, dopo l’inaugurazione dell’autostrada che legava i due grandi centri del Nord Italia. E’ il Campari, simbolo di Milano, che va dritto al Vermouth, Torino. O viceversa». A differenza dei due progenitori di cui sopra, è preparato nel mixing glass e servito in coppa cocktail: «Come decorazione prevede solo oli essenziale della buccia del limone». E lo splendido cerchio di Marteddu si chiude.


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