L’Ara San Juan – questo il nome del noto sottomarino argentino – è scomparso il 15 novembre del 2017 a largo della Patagonia. Da quel dì, si sono susseguite mezze verità e soltanto tardive ammissioni. Dal momento della sua scomparsa, infatti, è emerso che ci sarebbero state ben 8 comunicazioni secretate, per un totale di 55 minuti di conversazioni avvenute tra il capitano del sottomarino Pedro Fernández e il comando. Dopodiché l’esplosione, dovuta (stando alla ricostruzione) ad una infiltrazione d’acqua all’interno del sistema di alimentazione delle batterie. Quel giorno persero la vita 44 membri dell’equipaggio (43 uomini ed una donna) e le ricerche – durante quei primi 8 giorni – servirono (inutilmente) a mantenere alta la speranza dei famigliari delle vittime, inconsapevoli di tutto. Le conversazioni avvenute, tuttavia, non sarebbero state ‘chiamate di soccorso’, quanto messaggi navali di routine. Va da sé, che – si domandano in Argentina – se le comunicazioni avvenute sono state di semplice routine, perché mai secretarle?
Ara San Juan: un suono, la smentita e poi nuove ricerche del sottomarino scomparso
Intanto pochi giorni fa, sarebbe giunto un nuovo segnale dagli abissi. Segnale captato dall’Ara ‘Islas Malvinas’, nave adibita alle ricerche del relitto. Tuttavia, la Marina Argentina ha comunicato che le immagini rilevate, non erano corrispondenti a quelle del sottomarino. Vien da pensare che in effetti, le autorità argentine non abbiano brillato per trasparenza, motivo per cui oltre all’Ara ‘Islas Malvinas’ e partita un’altra nave. Si tratta della Ara ‘Robinson’, nave partita anch’essa alla ricerca dei resti del sommergibile, sulla quale (oltre all’equipaggio) sarebbero stati imbarcati i parenti delle vittime dell’Ara San Juan. Il tutto mentre in Argentina – dopo la rimozione di 4 alti ufficiali – è stata istruita da metà gennaio, una commissione d’inchiesta.