Questa è la storia di Mosha. Una storia triste, per lo meno in principio. Perché questo elefante, quando aveva soltanto sette mesi di vita, si è imbattuto nel peggiore dei nemici: l’uomo. O meglio, una mina anti-uomo posta al confine della Thailandia con il Myanmar. L’elefante perde l’arto, e da quel momento per Mosha – che prova a compensare come può – non restano che due opzioni: la prima è la più discutibile ma (per fortuna) anche la meno accettata in Thailandia, ovvero l’eutanasia. La seconda possibilità invece – tenendo conto di un’aspettativa di vita di almeno 40 anni – era assai più ingegnosa: una protesi. Così alla FAE hanno iniziato con una prima protesi del peso di 15 Kg realizzata con plastica, segatura e metallo. Da quel giorno, sono state cambiate oltre dieci protesi, perché dovevano adattarsi alla crescita di Mosha, arrivando ad un’ultima versione non più composta da plastica, segatura e metallo, ma da materiale termoplastico, acciaio ed elastomero, un polimero allo stato gommoso nel quale sono presenti legami, deboli o forti, che ne rafforzano la struttura, esaltandone le prestazioni meccaniche.
Ecco il commovente video di Mosha, l’elefante con la protesi per colpa di una mina antiuomo
Immagine di copertina tratta dal video
