Milano – “Io credo che Leopardi ci abbia lasciato come testamento la fortissima fragile bellezza della ginestra, lui come ultima immagine ci dà questo fiore che nonostante il deserto che ha attorno continua a fiorire. E questa bellezza esplode e non usa mai come alibi la fragilità della sua esistenza, della sua condizione”.
La fine come inizio. L’ultimo dei Canti di Leopardi come spunto per il nuovo libro di Alessandro D’Avenia, “L’arte di essere fragili”, che esce per Mondadori e che proprio dalla grandezza del poeta di Recanati innesca spunti di riflessione sulla domanda fondamentale della nostra vita, ossia la ricerca della felicità. Che parte, nella coraggiosa e appassionata lettura di D’Avenia proprio dal fare, come la ginestra, della propria fragilità un punto di forza. Perché Leopardi, come per esempio anche Kafka, ci viene spesso raccontato a senso unico. Ma il professor D’Avenia sa che la verità è diversa.
“Mentre io lo racconto come scrittore pessimista – ha proseguito l’autore – vedo che i loro occhi e il loro cuore si accendono e allora mi sono detto: qui c’è qualche cosa che stiamo sbagliando”.
Perché la grande letteratura, fa sempre, sempre, un passo in più. “Non siamo noi a leggere i classici – ha aggiunto D’Avenia – ma sono i classici a leggere noi. Ti metti al seguito, segui le orme, capisci quale porzione di realtà tu non riesci a vedere che loro invece sono riusciti a vedere”.
E in quello che non vediamo, ci suggerisce “L’arte di essere fragili”, c’è anche il fatto che i ragazzi di oggi sono probabilmente molto più pronti di quanto possiamo immaginare ad accogliere un messaggio di questo tipo. “Il problema – ha concluso D’Avenia – non sono i ragazzi, il problema è il fuoco che manca nella nostra vita di chi deve aprire delle strade. E questo fuoco i grandi ce l’hanno, se noi lo proteggiamo, lo recuperiamo come prometeo, lo strappiamo agli dei e lo portiamo alle persone, poi le persone sono contente”.