Milano – La prima cosa che Liliana Segre fece dopo
essere tornata a Milano da Auschwitz, dove era stata deportata
all’età di 13 anni, fu quella di tornare qui, davanti al portone
della casa di corso Magenta 55, a pochi passi dal Cenacolo
Vinciano, dove aveva vissuto col padre, morto nel campo di
sterminio nazista. C’è poi passata davanti ancora tante volte e
c’è tornata più di settant’anni dopo per posare la prima delle
sei Pietre d’inciampo che Milano dedica ad altrettanti deportati,
come suo padre Alberto, mai più tornati dai lager.
“Io vivevo privilegiata, una bambina viziata, amatissima, una
principessina che di colpo è passata dalla piccola reggia calda
di amore e di affetti, ‘tiepida casa’ come scrive Primo Levi,
all’inferno di Auschwitz. Oggi ho 86 anni, sono nonna felice di
tre nipoti. Dopo tanto odio e tanta morte ho conosciuto l’amore,
la felicità di diventare mamma e il mio primo figlio si chiama
Alberto come mio padre. Eravamo un duo particolare, un papà
grande e alto con una bambina per mano. Siamo arrivati fino ad
Auschwitz, ma là le mani sono state divise”.
I sampietrini sono ricoperti di ottone e riportano nome, anno di
nascita, giorno e luogo della deportazione e data di morte. In
tutta Europa ce ne sono già più di 50.000 e Milano, come ha
sottolineato il sindaco Giuseppe Sala, non poteva più aspettare.
“E’ importante ribadire la memoria. A volte mi preoccupa un po
vedere i nostri ragazzi troppo orientati verso il presente e il
futuro, ma è importante anche guardarsi indietro e Milano è la
città della memoria. Si tratta di un’iniziativa veramente
importante”.
Le Pietre sono opera dell’artista tedesco Gunter Demnig.