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Legambiente: è plastica il 96% dei rifiuti galleggianti

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Pubblicato il 14/11/2016
Di Team Digital
Legambiente  plastica il 96 dei rifiuti galleggianti

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Milano – Ben il 96 per cento dei rifiuti galleggianti nei nostri mari è costituito da plastica. Un fenomeno angosciante se si pensa che la plastica degradandosi dà luogo al cosiddetto micro-litter, ovvero a frammenti e filamenti chimici che -date le dimensioni del fenomeno- entrano in modo massiccio e inevitabile nella catena alimentare di animali e uomini. E dire che gran parte dei rifiuti plastici galleggianti potrebbero essere in realtà avviati a riciclo se gestiti in modo corretto al momento dello smaltimento. Ma serve il coraggio di scelte lungimiranti e non banalizzanti di politica economica.


A Ecomondo – la Fiera Internazionale del recupero di materia ed energia e dello sviluppo sostenibile, dedicata nell’edizione di novembre 2016 alla “Green and circular economy” – Legambiente e ENEA hanno presentato un’analisi della tipologia delle plastiche campionate durante le campagne estive di Goletta Verde e Goletta dei laghi 2016. Si tratta di uno strumento necessario per individuare soluzioni per il possibile recupero dei materiali stessi, progetto che gode della partnership di Mareblu e di Novamont.


Stefano Ciafani, direttore generale di Legambiente: “I dati che emergono sono di una alta densità dei rifiuti galleggianti in mare con circa 60 detriti in ogni chilometro quadrato monitorato, in tutti i mari nazionali. Sono rifiuti già in frammenti, ovvero che si stanno degradando, e sono elementi provenienti in gran parte dalla mala gestione di rifiuti urbani. E questo è un dato importante perché ci permette di ragionare su come prevenire”.


Riuscire a ricostruire l’origine dei rifiuti plastici presenti nel mare e nei laghi è infatti il primo e più importante passo per arrivare a definire azioni di reale contrasto e prevenzione dell’inquinamento.


“Il problema del marine litter e delle microplastiche nei laghi ha diverse origini. Da una parte abbiamo un inquinamento primario, ovvero quelle microplastiche presenti nei cosmetici, o frammenti di plastiche usati in diverse lavorazioni che vanno negli scarichi e quindi confluiscono nei mari e nei laghi. E poi in gran parte sono generate dalla degradazione dei rifiuti presenti sulle spiagge o che galleggiano sulle acque. Quindi questo ci deve far capire che bisogna intervenire sul sistema produttivo, e quindi a monte. E soprattutto anche sui rifiuti stessi per evitare che si degradino”.


Le linee di intervento possibili, secondo quanto si è discusso a Ecomondo, seguono tutte un principio fondamentale: prevenire il danno prima che colpisca l’ambiente.


“Sicuramente bisogna ripensare il consumo di plastica, il modo in cui produciamo gli imballaggi e il modo in cui li utilizziamo. Bisogna poi intervenire con una buona gestione dei rifiuti, perché l’abbandono e la mala gestione dei rifiuti urbani è una delle fonti del microlitter che più delle altre incide sul problema. E infine bisogna puntare a norme che vietino le microplastiche nella produzione di tanti prodotti, a partire dai cosmetici, in tutti i settori merceologici in cui sono presenti”.


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