Roma – “La rottamazione delle cartelle di Equitalia è un atto del governo per tentare di smussare i momenti più conflittuali e onerosi nel rapporto con i contribuenti. E’ un gesto di apertura verso i soggetti più piccoli e deboli che spesso non hanno pagato per carenza di soldi”. E’ il parere sul Decreto fiscale in discussione in Parlamento di Roberto Moro, presidente di Afi (Associazione fiscalisti d’impresa) che associa i responsabili fiscali di un’ottantina delle maggiori imprese italiane, che insieme raggiungono il 23 % del Pil.
“Altre disposizioni del decreto fiscale – afferma Moro in questa intervista ad askanews – e della Legge di stabilità hanno confermato l’orientamento del governo di passare ad un rapporto meno conflittuale nei confronti dei contribuenti in generale e per quel che riguarda le grandi imprese a un rapporto basato sulla collaborazione e la prevenzione e non solo sulla repressione. Siamo all’inizio di questo nuovo rapporto e ci stiamo ancora prendendo le misure. Molto importante sarà quello che accadrà nel 2017-2018, non molto oltre perchè i tempi della competizione internazionale non consentono di attendere troppo. Quel che il Parlamento doveva fare lo ha fatto o lo sta facendo, ora si tratta per le imprese e per l’amministrazione fiscale di cambiare verso come ha detto di recente il direttore dell’Agenzia delle Entrate Orlandi. Sarà importantissima la riduzione di tre punti, dal 27 al 24% , dell’Ires (la tassa sulle imprese), ma questo non basta. L’investitore italiano e anche la multinazionale non va a cercare il paese dove ci sia, entro certi limiti, l’aliquota più bassa, ma cerca un rapporto favorevole, basato sulla fiducia, su rapporti chiari e trasparenti, sulla famosa certezza del diritto. E qui dobbiamo impegnarci e investire di più”.
Per quel che riguarda i rischi di guerra fiscale dovuta alle politiche aggressive annunciate da Donald Trump, Moro risponde. “Non credo che ci sarà un cambiamento di rotta così evidente nella politica fiscale internazionale dell’amministrazione Usa perchè anche i democratici hanno sempre difeso le proprie aziende, diversamente dagli europei e dagli italiani, che hanno sempre fatto molta demagogia. Gli americani hanno sempre promosso le proprie aziende in giro per il mondo, giusto o sbagliato, in modo molto pragmatico. Poco importava se un’azienda Usa non pagava le tasse all’estero, bastava che si irrobustisse e grazie all’autofinanziamento potesse aumentare gli investimenti. Diverso per l’Italia e l’Europa in cui alcuni principi idealistici ci hanno portato a penalizzare lo sviluppo all’estero. Non credo che con Trump questo scenario cambierà sostanzialmente. L’Europa ha ragione a sostenere i diritti fiscali degli europei e cioè che in Europa le multinazionali americane paghino le tasse. A parole gli americani sono d’accordo, ma nel concreto bisognerà vedere i rapporti di forza che si istaureranno tra i due continenti e comunque credo che l’Europa debba darsi una svegliata e cominciare a sostenere di più le imprese europee quando vanno all’estero e non pensare solo a portare a casa gettito”.