“So che quello che sto per dire suonerà impopolare e forse chissà, sacrilego, ma per quanto io ami Pasolini pensatore, giornalista e scrittore ho sempre pensato che come regista fosse fuori posto, anzi era semplicemente un “non regista”, che usava la macchina da presa in modo amatoriale, senza stile, senza un punto di vista meramente cinematografico sulle cose che raccontava, in anni in cui il cinema italiano era cosa altissima, faceva da scuola di poetica e racconto cinematico e cinematografico in tutto il mondo”. “In quegli anni Pasolini regista aprì involontariamente le porte a quella illusione che il regista fosse una figura e un ruolo accessibile a chiunque, intercambiabile o addirittura improvvisabile. La dissoluzione dell’eleganza che il cinema italiano aveva costruito, accumulato, elaborato a partire da Rossellini e Vittorio De Sica per arrivare a Fellini, Visconti, Sergio Leone, Petri, Bertolucci e tanti, davvero tanti altri Maestri, rese il cinema un prodotto avvicinabile da coloro che il cinema non sapevano di fatto farlo. Non basta essere scrittori per trasformarsi in registi. Così come vale anche il contrario. Il cinema Pasoliniano aprì le porte a quello che era di fatto l’anti cinema in senso estetico e di racconto. Il cinema italiano morì da lì a pochissimi anni con una lunga serie di registi improvvisati che scambiarono il cinema per qualcos’altro, si misero in conflitto (come fece Nanni Moretti) con i Maestri che il cinema lo avevano nutrito per decenni e di fatto distrussero con tutti quelli che seguirono quella scia di arroganza intellettuale rifiutando anzi demolendo la necessità da parte del Cinema di essere un’arte POPOLARE e lo privarono, di fatto, di un’eredità importante che ci portò dall’essere la seconda industria cinematografica più grande al mondo ad una delle più invisibili”. “Con legittimo e immenso rispetto per Pier Paolo Pasolini poeta e narratore della nostra società quando ancora in pochi riuscivano a interrogarla, provocarla e analizzarla, il cinema è però altra cosa”.
Con queste parole Gabriele Muccino – tornato di recente nelle sale con Padri e figlie – dalla sua pagina Facebook stronca Pier Paolo Pasolini (come regista) e i fan della sua pagina insorgono. Perché Muccino è stato chiaro fin dall’inizio con quel “per quanto io ami Pasolini pensatore, giornalista e scrittore…“. Eppure non è bastato.
Il malcontento cresce e la polemica inevitabilmente monta. Possibile – si domandano i più – che Muccino abbia giudicato così duramente Pasolini, icona della cultura italiana. A domanda, risposta: ‘sì’. La reazione dei fan, tuttavia, non è del tutto inaspettata e Muccino lo sapeva o – come si dice – non poteva non sapere. Non a caso ha iniziato il post con “So che quello che sto per dire suonerà impopolare e forse chissà, sacrilego…“. Eppure il regista de ‘L’ultimo bacio’ non si ferma e insiste rincarando la dose.
“Dimostratemi che mentre Pasolini girava Salò, Kubrick non avesse già realizzato 2001 Odissea nello Spazio e Fellini Otto e mezzo. Dimostratemi che la poetica di Pasolini si esprimesse al cinema quanto quella di altri scrittori come Zavattini, Guerra, Suso Cecchi D’Amico, Age e Scarpelli, ma soprattutto quanto la mano di altri registi, che, alla sua epoca, erano già monumenti del cinema mondiale e che influenzavano di fatto le più grandi cinematografie (Il Gattopardo di Visconti influenzò il Padrino di Coppola quanto i film di De Sica e Rossellini la formazione umana e professionale di Scorsese)”. “Io ho criticato il Pasolini regista che ha di fatto impoverito e sgrammaticato il linguaggio cinematografico dell’epoca (altissimo sia in Italia che nel resto del mondo), per rendere (involontariamente) il mestiere del cineasta accessibile a chi di cinema sapeva molto poco o niente (come quasi tutti quelli che ora si divertono a deridermi o attaccarmi)”.
Una critica dura e frontale che gli appassionati (e non solo) di Pasolini hanno attaccato arrivando agli insulti per un post che – a ben vedere – difficilmente verrà dimenticato.
L’epilogo ricorda un qualcosa di già visto. Muccino – consapevole dei rischi, un po’ meno della violenza social – a detta dei più, esausto chiude il proprio profilo Facebook. Invece no, non è così, ed proprio lo stesso regista a scrivere (stavolta su Twitter) che il profilo gli è stato disattivato da Facebook, twittando l’immagine di Facebook. Chiuso o disattivato, poco conta. Il regista italiano esce dunque dalla polemica, ma a modo suo “Dopo gli insulti ricevuti, mi rifaccio gli occhi, scusate, con permesso, come direbbe Cabiria” creando se possibile una polemica nella polemica: da Pasolini regista agli insulti della web democracy, siamo davvero certi che perdere quel solo grado di separazione che c’era con uno dei registi italiani sia – in senso assoluto – un bene?