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Prepping: la disciplina per sopravvivere alle catastrofi

Il prepping è quella disciplina che aiuta a prepararsi alle catastrofi: “un’arte della sopravvivenza”.


In America il prepping è un atteggiamento molto diffuso, date le numerose calamità naturali quasi sempre improvvise: trombe d’aria, uragani e terremoti ad esempio. Gli americani con il tempo si sono sempre più “specializzati” nell’affrontare al meglio questi tipi di catastrofi: sicuramente sono più preparati di noi italiani ad affrontare un’eventuale apocalisse.

Tantissimi i film che hanno descritto – con più o meno probabili avvenimenti – la fine del mondo. Ma il cinema ha anche mostrato che esistono delle “soluzioni” per salvarsi. Ce lo mostra Will Smith nel film Io sono Leggenda, oppure Robin Williams in Survivors, ma anche ne L’ombra dello scorpione di Stephen King, o la serie televisiva The Walking Dead. Il cinema ci fa vedere molte volte la fine del mondo ma altrettante la salvezza di pochi sopravvissuti.


Questa disciplina del prepararsi sta arrivando anche tra le abitudini italiane. Paradossalmente la psicologia approva la disciplina apocalittica: è rassicurante sapere quando sarà la fine del mondo. In special modo se si attuano tutti quei comportamenti in grado di garantire la sopravvivenza dopo la catastrofe: scorte di cibo in scatola, acqua e bunker a prova di tutto.


Il vademecum del prepping


A rafforzare la teoria e stilare consigli per la sopravvivenza è un libro, intitolato per l’appunto Prepping, scritto dal survivalista Enzo Maolucci e dall’antropologo Alberto Salza. Una sorta di vademecum del prepping. Oltre alle scorte di medicinali, cibi, strumenti e arnesi utili, ci sono dettagli pratici da attuare proprio come se fosse una preparazione militare: sapersi muovere tra le macerie e ricostruirsi un nuovo mondo, una nuova vita.


Il prepping non è un’attività solitaria per due ragioni: a) al contrario della permanenza immediata si propone la permanenza in vita dell’individuo durante la catastrofe e la persistenza di un gruppo umano per la successiva ricostruzione; b) la quantità e la qualità di conoscenze necessarie per la preparazione, la gestione e il superamento del disastro oltrepassano le potenzialità di una persona sola“.


“Ci sono molte ragioni di essere scettici sui prepper – dice Nafeez Ahmadma molte meno di essere scettici sui rischi che li motivano. Le istituzioni sono colpevolmente impreparate a rispondere ai cataclismi. Così il prepper cerca di colmare questa lacuna a livello individuale. Tutto ciò va benissimo ma non significa che questa sia la risposta, è semplicemente una reazione al fallimento dello status quo. Il prepper deve andare al di là dell’individualismo auto-centrato: gli esseri umani come specie sono sopravissuti e hanno prosperato grazie alla comunità e alla società“.