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Spazio, problemi per l’esperimento giapponese Kite della Jaxa

Tokyo – Questo “guinzaglio” non s’ha da fare; sembra davvero maledetto l’utilizzo della tecnologia Tethered nello Spazio. Il modulo cargo giapponese Htv-6, il 27 gennaio 2017, dopo 6 settimane di permanenza in orbita, si è sganciato dalla Stazione spaziale internazionale per autodistruggersi, bruciando nell’atmosfera con il suo carico di rifiuti. Prima del “suicidio”, tuttavia, il modulo senza equipaggio avrebbe dovuto compiere un ultimo esperimento, denominato Kite, sigla che sta per Kounotori integrate Tether Experiment.


In pratica avrebbe dovuto svolgere nello Spazio un cavo di 700 metri in cui far circolare corrente, creando un campo magnetico che avrebbe dovuto attrarre piccoli detriti spaziali pericolosi per le attività in orbita. Qualcosa, tuttavia, è andato storto eil meccanismo di dispiegamento del filo si è bloccato mettendo a rischio la riuscita dell’esperimento.


Purtroppo non è la prima volta che accade una cosa del genere. È un problema, infatti, per molti versi analogo a quello che anche l’Italia ha dovuto affrontare per ben due volte, nel 1992 e nel 1996 con il Tethered, il famoso “satellite al guinzaglio” che però aveva un cavo molto più lungo, di quasi 20 Km.


In entrambi i casi la missione dell’Agenzia spaziale italiana funzionò, dimostrando la validità del modello teorico, anche se nel primo caso, con Franco Malerba, primo astronauta italiano della storia, l’esperimento venne interrotto per un guasto al sistema di rilascio che bloccò lo svolgimento del cavo dopo soli 256 metri.


Nel secondo caso, invece, quando in orbita c’erano ben due italiani, Maurizio Cheli e Umberto Guidoni, il cavo si ruppe per uno sbalzo di tensione quando il satellite, andato perso, era a oltre 18 Km di distanza dallo Shuttle “Columbia”.