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Parreno in qualunque momento: le meraviglie della Turbine Hall

Londra – Uno spazio vivente; una architettura che pensa intensamente se stessa, ma, al tempo stesso, estende i propri confini e abbatte la distinzione tra interno ed esterno; un lavoro artistico organizzato in ogni minimo dettaglio eppure imprevedibile e inafferrabile. Philippe Parreno, l’artista francese che da almeno due decenni sta riscrivendo la grammatica del contemporaneo, ha ripensato la Turbine Hall della Tate Modern di Londra con la sua iper-installazione “Anywhen”, per la nuova Hyundai Commission. Nell’immenso spazio postindustriale Parreno ha collocato degli schermi danzanti, dei pannelli acustici, luci in movimento, altoparlanti e due enormi tappeti sui quali il pubblico vive, spesso sdraiandosi, l’emozione di un evento difficile da catalogare e che porta anche la firma del curatore Andrea Lissoni.


“Il titolo Anywhen – ci ha spiegato – è abbastanza curioso, perché può succedere in qualunque momento, questa è la risposta. Non c’è un evento centrale, c’è una sorta di possibilità di eventi, di narrazioni, che si scatenano da tanti punti di vista, come se invece di avere un universo, avessimo un multiverso di sguardi e di sensazioni. Dall’altra parte, quello che è assolutamente interessante, è che l’architettura è diventata un corpo, ed è guidata da microorganismi, come noi corpi siamo guidati da microorganismi”.


Già, perché il ciclo vitale dell’opera di Parreno ruota intorno a un piccolo locale, visibile al pubblico, nel quale l’algoritmo del computer interagisce e viene modificato, dalle reazioni che dei microorganismi che vivono accanto al calcolatore hanno in relazione a eventi esterni, come le condizioni atmosferiche che cambiano, oppure un diverso tipo di alimentazione. Di conseguenza, ammette lo stesso Lissoni – è impossibile sapere esattamente che cosa succederà in un dato momento della giornata, anche perché altri sensori e altoparlanti trasportano all’interno della Turbine Hall i suoni della città.


“La cosa più importante da dire rispetto al lavoro che Philippe ha fatto sulla Turbine Hall – ha aggiunto il curatore – è che è stato ossessivamente guidato dall’idea di non avere un’idea centrale, di non avere un oggetto che attraesse tutta la forza di gravità visiva dello spettatore. Pertanto ha raccolto dati, ha chiesto al suo storico collaboratore Nicolas Becker di ascoltare tutti i suoni dell’edificio, come se fosse un cardiochirurgo. Abbiamo passato molto tempo con Herzog e de Meuron, gli architetti, cercando di capire che intenzioni avevano quando hanno creato la Turbine Hall e che intenzioni avevano quando hanno cambiato la fisionomia della Tate con il nuovo edificio. E tutti questi dati sono stati a mano a mano raccolti e hanno portato all’idea di estendere l’opera nello spazio, ovunque, senza avere un oggetto centrale che rendesse visibile l’approccio tipico di Philippe”.


E così, arrendendosi alla malìa dell’installazione, si arriva a un punto nel quale si percepisce chiaramente la presenza della forma mentale di Parreno, eppure, contemporaneamente, se ne sente l’assenza, per esempio accorgendosi che le Marquees, così tipiche del suo lavoro, qui sono state sostanzialmente schermate, e forse non torneranno più. Ma in fondo, alla fine, a vincere è una sensazione di presente che ci restituisce ciò che il filosofo Giorgio Agamben identifica come caratteristica del vero contemporaneo, ossia la sensazione di stare in un presente che non abbiamo vissuto. “Perché di fatto – ha concluso Andrea Lissoni – quello che succede è che ci sono tanti eventi che producono delle conseguenze, che producono delle opere che appaiono e scompaiono. E l’insieme è come se fosse, ancora una volta, una mostra personale e collettiva al tempo stesso di Philippe”.