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“L’Altra Heimat”

Il regista: racconto la dolorosa separazione dalla propria terra


Esce nelle sale italiane (il 31 marzo e il primo aprile e poi in replica in alcune città) “L’altra Heimat”, l’inizio della saga del geniale regista tedesco Edgar Reitz, che con la trilogia di “Heimat” ha dato vita a un fenomeno di culto, raccontando la storia della Germania, dalle macerie della prima guerra mondiale agli anni 2000.


“E’ molto interessante che in italiano come in francese la parola ‘patria’ sia paese del padre, c’è anche in tedesco ‘Vaterland’, che fondamentalmente è lo Stato. ‘Heimat’ è a mio parere il paese della madre: la parte più piccola e molto più concreta, la casa delle persone”.


“L’altra Heimat-Cronaca di un sogno” sono 232 minuti che tengono lo spettatore incollato allo schermo. Continui colpi di scena e la cronaca di un “sogno” o meglio di una “Sehnsucht”, la ricerca struggente di un mondo nuovo, che ha spinto migliaia di persone a emigrare. Un parallelo, inizialmente non voluto, con le ondate di migranti che attraversano oggi il Mediterraneo.


“Oggi noi siamo un paese di immigrazione mentre allora eravamo un paese di emigranti”. “Il dolore nei cuori delle persone che lasciano la propria terra era il mio tema”.


Il film è ambientato nell’immaginaria Schabbach, nell’Hunsr ck, la regione dove Reitz è nato nel 1932. Ancora protagonista è la famiglia Simon, che nel 1843 lavora e lotta contro la morte e dove il figlio Jakob – l’attore Jan Schneider – uno studente di medicina trovato per caso durante le prime riprese dei luoghi – sogna di fuggire in Sudamerica.


“Jacob non sa mai quello che fa, ha questo sogno alimentato dai libri che legge, legge tanto e riceve informazioni che si mischiano ai suoi sogni e da ciò si forma l’immagine di un mondo che definiamo con la parola Sehnsucht”. “Jakob lascia il suo paese non con le proprie gambe, ma con la testa”.


Le case di Schabbach sono state costruite di sana pianta, gli attori indossano vestiti filati a mano e grazie alle riprese in digitale le fonti luminose sono state il più possibile restituite al naturale, per far vedere come i contadini della Renania vivevano nella metà dell’Ottocento.


Ma cos’è l’Heimat per il regista Reitz? “Per i miei personaggi l’idea di Heimat non significa niente, ci vivono dentro e non ci pensano, su questo punto sono naif”. “Dopo trent’anni di film e interviste, non voglio ripetere la definizione che ho nella mia testa. Su di essa potrei ormai scrivere 3 o 4 libri”.