Milano – Furto, appropriazione, copia. Il mondo dell’arte da sempre si interroga sul rapporto, a volte violento, a volte semplicemente ammirato, con i modelli preesistenti. Un rapporto che, tra riproducibilità tecnica e cultura pop di massa, è diventato esso stesso parte della pratica artistica. Per questo la mostra “L’image volée” che l’artista Thomas Demand ha curato per la Fondazione Prada a Milano, proprio sul concetto di immagini rubate, assume un interesse maggiore della semplice somma dei lavori, in alcuni casi notevolissimi, che la compongono. Una mostra che, in fondo, ci parla dell’assenza, sia essa quella del Dottor Gachet di Van Gogh dipinto perduto, di cui resta solo la cornice, involucro che diventa ora opera a sua volta, oppure quella delle stanze d’albergo fotografate furtivamente da Sophie Calle, nei momenti in cui gli ospiti erano fuori.
Il furto però assume, negli spazi della Galleria Nord della Fondazione Prada, allestiti dallo scultore Manfred Pernice con esiti sorprendenti, anche la connotazione della vera e propria sottrazione, come nel caso del tappeto persiano fatto rubare con una telefonata da Richard Artschwager, o della geniale denuncia con cui Maurizio Cattelan segnalava alla questura di Forlì il furto di una propria opera “invisibile”. E poi ancora il manifesto di Lucian Freud per denunciare il furto di un suo ritratto di Francis Bacon e, dello stesso Bacon, i volti mutilati dall’artista in quanto non soddisfacenti e poi ritrovati e messi in mostra, si suppone andando contro la volontà del pittore. Se poi un Gerhard Richter monocromo diventa un tavolino di Kippenberger o i leggendari poster di Daniel Buren si trasformano, grazie a Pierre Bismuth, in grandi origami, ecco che il corto circuito appare completo. Quando peraltro le suggestioni in mostra sono molte di più e comprendono, tanto per dirne alcune, lo sguardo di Andre Agassi, i tagli di Lucio Fontana su opere altrui o gli strumenti con cui i regimi della Ddr e dell’Unione sovietica spiavano i propri cittadini.
Immediato il pensiero alle “vite degli altri”, quelle stesse vite che appaiono attraverso telecamere nascoste hackerate da gruppi artistici, oppure nel lavoro di John Balessari, o ancora sotto l’incredibile obiettivo di Jeff Wall. A questo punto, al termine di un percorso che comprende anche la parte interrata della Galleria Nord e il cinema della Fondazione Prada, la sensazione che pervade lo spettatore è quella di avere rubato, oltre che le immagini del titolo, anche un po’ del senso duchampiano dell’arte contemporanea. E Duchamp, ne siamo certi, apprezzerebbe.