Palermo – Sarebbe stata la sua opera di convincimento dei clienti a collaborare con la giustizia a determinare la condanna a morte, da parte della mafia, dell’avvocato Enzo Fragalà, ucciso il 26 febbraio 2015 a Palermo. È quanto emerso nel corso delle indagini coordinate dalla procura palermitana e che hanno portato all’arresto di 6 persone da parte dei carabinieri.
“Ci si è allontanati dal movente passionale e ci si è spostati a giustificare un legame con Cosa nostra, l’omicidio viene inquadrato nell’ambiente mafioso e questo è riconducibile all’atteggiamento deontologico di un professionista che nella sua attività professionale sensibilizzava e spingeva i suoi assistiti ad assumere atteggiamento di apertura e collaborazione con la magistratura”, ha spiegato Antonio Di Stasio, comandante provinciale carabinieri Palermo, “Un uomo che senza divisa si preoccupava di raggiungere la verità a difesa della giustizia e della legalità”.
L’inchiesta era stata riaperta a seguito di nuove intercettazioni e collaborazioni. Nei mesi di luglio 2013 e gennaio 2014, infatti, all’interno del carcere di Parma, furono intercettati due distinti colloqui tra l’allora reggente del mandamento di Porta Nuova, Giuseppe Di Giacomo, e il fratello ergastolano Giovanni. Durante tali conversazioni emergeva chiaramente come i due mafiosi fossero a conoscenza che gli autori dell’omicidio dell Avvocato Fragalà erano affiliati al mandamento mafioso di Palermo Porta Nuova e, in particolare, alla famiglia mafiosa di Borgo Vecchio. Nell’aprile del 2015 Francesco Chiarello, affiliato alla famiglia mafiosa di Borgo Vecchio, ha iniziato a collaborare con la Giustizia, dichiarando di essere a conoscenza dei dettagli sulla uccisione del penalista. In particolare, che gli autori dell’agguato erano stati Francesco Arcuri, Antonino Abbate, Antonino Siragusa e Salvatore Ingrassia. In aggiunta avevano partecipato altre due persone mai emerse nella precedente attività di indagine: Paolo Cocco e Francesco Castronovo.