Anywhere – Se già di per sé chiedersi che cosa sia il potere in generale è una domanda quantomeno complessa, lo è, a maggior ragione, se ci si concentra sul mondo – sfuggente e in fondo potenzialmente infinito – dell’arte contemporanea, dove i confini continuano a muoversi e niente, perdonateci la frase fatta, è ciò che potrebbe sembrare. Ma nonostante la difficoltà, o forse proprio per questo, ArtReview ogni anno stila una classifica dei 100 personaggi più potenti nel Sistema dell’arte contemporanea e al primo posto brilla la figura infaticabile ed enciclopedica di Hans Ulrich Obrist, che definire solo direttore della Serpentine Gallery di Londra è riduttivo, ma che andrebbe classificato, come ha peraltro già fatto un’altra testa molto brillante come quella di Gianluigi Ricuperati, tra le menti globali del nostro tempo.
A influenzare la classifica di ArtReview anche le circostanze temporali, e quindi al secondo posto sta bene Adam Szymczyk, direttore artistico di Documenta 14, evento clou, insieme alla Biennale d’arte di Venezia curata da Christine Macel (17esimo posto), del 2017. E proprio la figura del curatore, strano e magnifico mestiere del nostro tempo, è tra le più rilevanti nella lista dei potenti. E non poteva mancare – 15esimo – Massimiliano Gioni, direttore della Fondazione Trussardi e guida artistica del New Museum di New York, che qualche tempo fa aveva risposto così a una nostra domanda sul mestiere di curatore. “Quando me lo chiedono alla dogana quando ritorno a New York dico che faccio il curatore e spesso il poliziotto alla dogana mi chiede di fare lo spelling, che è un esercizio di modestia molto utile”.
Nella classifica di ArtReview molti galleristi, dai Wirth a Larry Gagosian, numerosi direttori di musei importanti, come la Tate Modern di Londra o il MoMA di New York e, finalmente, anche gli artisti, con un peso specifico più rilevante per quelli definiti anche attivisti, come Wolfgang Tillmans (nono) o Ai Weiwei (decimo). Ma forse il più interessante in classifica, al 16esimo posto, per noi è Theaster Gates, apprezzato per il fatto di fare “più cose fuori dalle gallerie piuttosto che dentro”.
“La componente artistica di un lavoro – ci ha detto Gates durante un’intervista in Fondazione Prada a Milano – non sta tanto negli oggetti che produci, ma nell’investimento profondo che un creatore mette nelle cose che fa. Quindi che io faccia una scultura, o ristrutturi un edificio o pensi alla mia città o ad altre città, cerco sempre di dare il massimo dell’energia per risolvere un problema”.
Molto rilevante la componente degli artisti che lavorano anche con il video o il suono, con la presenza di Hito Steyerl, Pierre Huyghe, Ed Atkins, Liam Gillick, fino al centesimo, l’islandese Ragnar Kjartansson.
In rappresentanza dell’Italia, oltre a Gioni, salgono le quotazioni di Miuccia Prada – 45 esima – forte del successo della sua Fondazione, ma anche quelle del gallerista Massimo De Carlo (posto 64) e della esuberante Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, 72esima, una delle figure che stanno contribuendo in modo decisivo alla grande stagione di Torino.
Come ogni classifica, naturalmente, anche questa è opinabile e alcune assenze, per esempio quella di Philippe Parreno, sembrano inspiegabili. Ma quello che emerge, alla fine, è il senso di un sistema del contemporaneo che vive certo di quelli che potremmo definire “poteri forti”, ma anche nel quale le componenti di impredivibilità e azzardo, oltre che di spaesante diversità, restano fortunatamente cruciali.