Roma – Un libro di grammatica per imparare divertendosi, lontano anni luce dai manuali scolastici, ma che aiuta tutti a parlare e scrivere meglio. E’ “Di Grammatica non si muore” di Massimo Roscia, (ed. Sperling & Kupfer) critico enogastronomico, scrittore di romanzi, saggi, sceneggiature e – come si definisce lui stesso – “collezionista di periodi ipotetici del terzo tipo”, che già aveva avuto un grande successo di pubblico e critica con “La strage dei congiuntivi”.
“La grammatica di per sé non è una medicina amara ma una caramella dolce – spiega Roscia – e se mettiamo da parte le punizioni della maestra, i manuali aridi e polverosi, se la consideriamo un gioco, divertente, piacevole, io aggiungo anche sexy, si può parlare e scrivere meglio ma con il sorriso, facendo tesoro dei propri errori, utilizzando gli errori e trasformandoli in opportunità per migliorarsi”.
La differenza fra un apostrofo e un troncamento, sapere se scrivere una particella con o senza l’accento, insomma, non sono cose da imparare a memoria, ma rispondono a una logica perché servono a comunicare meglio e a non fare confusione: “”Oltre che divertente è utile, la grammatica serve a tutti – dice Roscia – a chi gioca ai videogiochi e a chi scrive in una redazione giornalistica. I segni che sono più maltrattati spesso sono quelli più piccolini, come l’apostrofo. Firmare in calce a un messaggio galante un’abbraccio con l’apostrofo non depone a vostro favore, rischiate di restare single per tutta la vita, oppure ‘non centra niente’ tutto attaccato, quante volte lo vediamo? Centra è voce del verbo centrare, allora bisogna pensare a un bersaglio immaginario”.
Tutti fanno errori, e per questo non è il caso di drammatizzare: ma Roscia, in un divertentissimo capitolo intitolato “Orticaria” ci ricorda come sia importante usare correttamente anche le espressioni e le locuzioni, evitando tic linguistici, perché anche qui si annidano continuamente usi arbitrari, insensati, confusi e semplicemente brutti della lingua. “Assolutamente sì, assolutamente no, rendono fastidiosamente perentorie semplici affermazioni o negazioni – spiega – è quasi un urlare quell’assolutamente, peggio ancora l’assolutamente neutro che resta lì e galleggia a mezz’aria impedendo all’interlocutore di comprendere se sì o no”. O anche il detestabile ‘piuttosto che’, “che continua a essere usato erroneamente con valore disgiuntivo, anche se in ribasso nel borsino dei tic linguistici”.
Contro l’inflazione di queste espressioni ineleganti Roscia propone un approccio graduale: per alcuni tic, anche se criticabili, “siamo ancora a livello di sanzioni amministrative, lettere di richiamo e provvedimenti disciplinari”. “Non siamo ancora nel penale, nel penale c’entriamo con il maltrattamento del congiuntivo: in quel caso il reato non è stato ancora derubricato e prevede pene assai severe”.