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Alla ricerca dei confini dell’arte, tra immagini e immateriale

Londra – Il concetto di confine, con la sua stessa definizione, è uno dei punti nevralgici del ragionamento sull’arte contemporanea. Guardando le bolle spaziotemporali nelle quali si poteva letteralmente volare di un Tomas Saraceno oppure l’automa parlante di Goshka Macuga che racconta al pubblico l’idea della fine del mondo, diventa naturale porsi la domanda su quali siano questi confini. Una possibile risposta viene dalla pratica di chi guarda al lavoro degli artisti di oggi, li affianca e ne crea sia una narrazione sia delle esposizioni: il curatore, quella strana professione che, come l’arte di cui si occupa, non è sempre facile da definire. Ne abbiamo parlato con Andrea Lissoni, che da HangarBicocca a Milano è passato alla Tate Modern di Londra, dove si occupa di arte internazionale e soprattutto di film.


“Per me la sfida è duplice – ci ha detto – la prima è rendere manifesto che l’area di cui mi sono sempre occupato non è un’area minoritaria, ma è un’area che pertiene completamente al campo dell’arte contemporanea. Di conseguenza anche estendere il campo del cinema o del film o delle immagini in movimento, che mi è in qualche modo attribuito e riconosciuto, e questo si può fare solo con Philippe Parreno, direi in questo momento”.


Parreno, appunto. Uno dei nomi intorno ai quali ruota una fetta significativa del senso di spaesante novità del contemporaneo, che ora approda nella sala più grande del museo londinese per la Hyundai Commission 2016, con la curatela di Lissoni.


“Credo – ha aggiunto Andra – che la Turbine Hall mantenga ancora quell’aura che aveva quando è stata aperta la Tate Modern nel 2000, cioè di uno spazio pubblico, come di una istituzione pubblica nella quale non si paga per accedere alle collezioni, e questo spazio non solo è pubblico, ma può essere usato come si vuole”.


Possibilità che, come è giusto che sia, sono contraddittorie e ambivalenti, tra l’interazione con il pubblico e le condizioni di attenzione che il lavoro di Parreno presuppone. “La cosa interessante di Philippe – ha concluso Lissoni – è che il suo lavoro non è fotografabile, e questo è già un bel problema. Non è fotografabile perché fatto di tante cose piccole che succedono in luoghi diversi e che attivano lo spazio e la percezione degli spettatori in modo diverso. Anche questa è una grande sfida, soprattutto se pensiamo agli interventi recenti”.


La domanda su dove siano i confini dell’arte oggi resta probabilmente, e fortunatamente, senza risposta. Ma la postura di un Parreno e il lavoro di un Lissoni sono qualcosa in più di un semplice indizio.